Tra i vulcani della terra l’ Etna, appena inserito nel Patrimonio dell’ umanità Unesco, fin dalla notte dei tempi è quello più conosciuto, descritto ed evocato, con tutto il suo corredo mitologico, di ninfe, dei, giganti ed eroi. Esso ha impressionato l’ immaginario degli antichi come dei moderni. Si narra che su queste balze laviche sbarcarono l’ astuto Ulisse e il saggio Enea; la fata Morgana vi trascinò re Artù. Il fantasma dell’ isola di Avalonè sovrano nell’ Etna, che ne assorbe l’ incanto atemporale e magico. La placa etnea è un crocevia di personaggi reali e favolistici, un concentrato di immaginario fantastico, un patrimonio di leggende di maghi e di mostri che si riverberano in numerose pagine di narratori che ne hanno cantato i miti. «Catasto magico – come scrive Maria Corti – l’ Etna è metafora cosmica dove il regno della vita e quello della morte si toccano». Inserendosi nella tradizione letteraria, poetica e pittorica, anche il cinema, ha raccontato l’ Etna descrivendolo nelle sue più svariate accezioni: ora mondo favolistico, ora avventuroso, ora storico,o metafisico. Nella sua rappresentazione, nella maggior parte di maniera, non sono mancati certo importanti eccezioni di registi come Epstein, Buñuel, Pasolini, Straub che hanno saputo cogliere del Vulcano i più profondi misteri e le più recondite suggestioni del mito. Tra i primi cineasti a salire sul Vulcano, nel 1915, è stato il palermitano Raffaello Lucarelli per girarvi un documentario dal titolo Artiglieria sull’ Etna, che fece il giro del mondo. Il Lucarelli in una missiva inviata ai Pathé Freres lamenta alla Casa francese, a cui l’ aveva venduto, il trattamento riservato al suo faticoso e non riconosciuto lavoro di cineoperatore esercitato in estreme difficoltà tecniche e atmosferiche. «L’ avere voi utilizzati solo 35 metri dei 200 lasciatevi (mentre dato il grande interesse di detto negativo potevate editarne una splendida film di programma anche di 100 metri circa) mi ha veramente sorpreso. Date le difficoltà che s’ incontrano per ritrarla». Nel 1923 arrivano in Sicilia un illustre scienziato, Arpad Kirner, per documentare una Esplorazione invernale della ciminiera d’ Europa e due grandi nomi del mondo del cinema: Filoteo Alberini e Jean Epstein. Il grande cineasta e teorico francese, viene inviato dalla Casa Pathé, per realizzare La montagne infidèle, mediometraggio sull’ eruzione dell’ Etna. La visione che si presenta agli occhi del regista è talmente spettacolare che lo lascia sbalordito. Il regista tornò in Francia con un documento straordinario. Come scrisse il Sadoul, «mostrava l’ esodo di quindicimila profughi, le processioni per placare la collera divina, la marcia implacabile della lava e fornisce un quadro della miseria della Sicilia». Epstein su questa esperienza scriverà un saggio teorico sul cinema che resta uno degli scritti teorici più importanti del periodo del muto: Il cinematografo visto dall’ Etna. Il grande cineasta spagnolo Luis Buñuel ne L’ age d’ or, insuperabile opera-manifesto del surrealismo, del 1930, nel portare avanti la sua ferocia antiborghese associa liberamente elementi eterogenei. Nel rappresentare l’ esaltazione dell’ “amour fou” associa le immagini documentarie del crollo delle case di Mascali sotto l’ eruzione del 1928 filmati dal Luce alla forza dell’ estrema passione amorosa che tutto travolge. In pochi secondi di fotogrammi esplosivi utilizzati, Buñuel dissacra con ironia la breve sequenza del crollo delle abitazioni e del fiume di lava come contrappunto di una situazione erotica e assimila il potere eversivo dell’ amore alla più devastante eruzione vulcanica del secolo scorso. Agli inizi degli anni Sessanta un’ ondata di supercolossi biblici invase gli schermi di mezzo mondo. L’ Etna diventa luogo privilegiato peri film più rappresentativi di questo filone storico-religioso. Nel 1961, arrivano Robert Aldrich e Sergio Leone, per girarvi le scene della distruzione di Sodoma nel film Sodoma e Gomorra. L’ anno appresso è la volta di Barabba di Richard Fleischer. Due anni dopo il grande John Huston con La Bibbiae lo scenografo Mario Chiari ricostruiscono le rovine di Sodoma, con la Gardner, nel ruolo di Sara, che diventa una statua di sale sulla lava di Nicolosi. Spettaa Pasolini il primato di averla descritta nella ricchezza dei suoi temi e dei suoi miti. L’ Etna parla allo scrittore-regista un linguaggio subcosciente, intriso di influenze culturali e mitologiche che superano il dato naturalistico. Per Pasolini il Vulcano diventa luogo d’ elezione per manifestazioni soprannaturali, complici i grandi miti del fuoco, delle catastrofi cosmiche, i riti sacrificali di vittime umane descritti da Pausania. Il suo paesaggio lunare, orrifico e misterico, ma di profonda bellezza non poteva, dunque, non stregare Pasolini che vi ambienta significative sequenze di quattro dei suoi film. Egli arriva sul Vulcano nel 1964 per girarvi l’ episodio delle tentazioni di Cristo nel deserto ne Il Vangelo secondo Matteo. L’ Etna è luogo dove l’ uomo non può sfuggire a se stesso. In Teorema, la città, la fabbrica, la famiglia sono i luoghi della falsa sicurezza. L’ Etna il luogo della spiritualità, della religiosità. Da qui l’ immagine finale dove il padre, ridotto alla sua originale nudità, urla la sua disperazione alla ricerca dell’ innocenza in una natura ritornata a essere verginale, come può esserlo l’ Etna. Con Porcile Pasolini A fianco, scene da “I Paladini” di Battiato e “Porcile” di Pasolini torna sull’ Etna per raccontare un atto di insubordinazione, di rivolta contro il padre. «Ho ucciso mio padre, mi sono cibato di carne umana, tremo di gioia». Egli contrappone la bellezza primitiva e sacrale del paesaggio arcaico etneo all’ orrore della civiltà moderna. Ma con l’ incupirsi della parabola pasoliniana anche l’ Etna cambia i propri connotati. Ne I racconti di Canterbury del 1972 il regista utilizza il nero fumante della colata lavica di Fornazzo per ambientarvi la scena dell’ inferno. Schiere di dannati errano percossi dai demoni tra pianti e lamenti. La montagna, luogo del mito e della spiritualità, dove un tempo era possibile purificarsi e incontrare un Dio liberatore, ora diviene scenario infernale, luogo abitato esclusivamente da Satana. Mediatore Holderlin, il poeta assoluto dell’ età moderna, negli Anni Ottanta, due registi, uno “estremo” come Jean Marie Straub e un regista teatrale di classe come Klaus Gruber, sulla scia dei grandi viaggiatori stranieri, arrivano alle sommità del Vulcanoa girare due singolari versioni de La morte di Empedocle. Il dramma del sapiente agrigentino che si getta nel fuoco è raccontato da Straub con una messa in scena di rigore assoluto. Il regista sente il bisogno di portarsi sui luoghi della tragedia per trarne l’ intima essenza, l’ ispirazione creativa. La natura è catturata appieno dall’ occhio della macchina da presa di Straub: nei suoi mutamenti di colori, nel frusciare del vento sulle fronde degli alberi, nel cinguettio degli uccelli, tutto in presa diretta. Gli Straub torneranno sull’ Etna per girarvi Peccato nero. Ancora Hoderline ancora Empledocle, che si misura con gli dei. Memori di una messa in scena teatrale alla Schaubune di Berlino il regista Klaus Gruber e l’ attore Bruno Ganz filmano anch’ essi una versione aggiornata del testo di Holderlin, prodotta da Raitre col titolo Fermata Etna. Meno Holderlin in questo rifacimento del regista tedesco e molta più natura. Il Vulcanoè un veroe proprio comprimario tra Ganze Gabriella Saitta. Il racconto di questo dualismo di amore e odio che si instaura tra l’ uomo e il vulcano consente a Gruber di riprendere l’ Etna nelle sue multiformi espressioni paesaggistiche e di affermare, nel contempo, il mito che essa ha rappresentato fin dai tempi di Empedocle. Le donne i cavalieri, l’ armi, gli amori di ariostesca memoria invadono i crinali e le vallate dell’ Etna con il film di Giacomo Battiato I Paladini. Sono giovani guerrieri in cerca di gloria: Le loro spade hanno sete di sangue e i loro petti aspirano alla vittoria e all’ amore. In un clima da favola medievaleggiante recitano assalti, e fughe, innamoramenti e tenzoni. La raffinatezza d’ eloquio visivo dei paesaggi etnei, degli splendidi scenari di roccee acque delle Gole dell’ Alcantara, del giallo autunnale dei boschi ricrea scenografie misteriose e metafisiche e conferisce al racconto i giusti echi epici con un occhio attento all’ Ariosto e l’ altro alla grande tradizione dei pupi siciliani.
Di: SEBASTIANO GESÙ
Fonte: Repubblica.it